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E' stata presentata oggi, 8 febbraio 2017, la ricerca realizzata dal Censis dal titolo “Conoscenza e prevenzione del Papillomavirus e delle patologie sessualmente trasmesse tra i giovani in Italia".
«Le infezioni sessualmente trasmesse costituiscono un insieme di malattie molto diffuse che interessano milioni di individui, ogni anno, in tutto il mondo. Esse hanno un forte impatto sia a livello individuale che di sanità pubblica e, tra l’altro, favoriscono l’acquisizione e la trasmissione dell’Hiv» ha detto Ranieri Guerra, Direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute.
Quasi la totalità dei giovani italiani di 12-24 anni (il 93,8%) ha sentito parlare di infezioni e malattie sessualmente trasmesse.
Tra le fonti di informazione sulle infezioni sessualmente trasmesse è preponderante il ruolo dei media (tv, riviste, internet), utilizzate dal 62,3%. Poi viene riconosciuto come significativo il contributo della scuola (53,8%), ma con differenze rilevanti tra le diverse aree geografiche del Paese: si passa da oltre il 60% al Nord al 46,1% al Centro e al 47,9% al Sud.
L’informazione sul Papillomavirus è ancora inadeguata. Il 63,6% dei giovani italiani di 12-24 anni ha sentito parlare del Papillomavirus umano (Hpv). Tra le ragazze la quota sale all’83,5%, mentre tra i maschi si riduce drasticamente al 44,9%. Rispetto alle modalità di trasmissione dell’Hpv, la gran parte cita i rapporti sessuali completi (81,8%), ma una quota inferiore sa che l’Hpv si può trasmettere anche attraverso rapporti sessuali non completi (58%). Per il 64,6% il preservativo è uno strumento sufficiente a prevenire la trasmissione del virus, ma solo il 17,9% è consapevole del fatto che non è possibile eliminare i rischi di contagio se si è sessualmente attivi. L’80,0% degli informati dell’esistenza dell’Hpv sa che si tratta di un virus responsabile di diversi tumori, soprattutto di quello al collo dell’utero; il 62,4% sa che si stratta di un virus che causa diverse patologie dell’apparato genitale, sia benigne che maligne ma che molto spesso rimane completamente asintomatico; il 37,1% sa invece che l’Hpv è responsabile di tumori che riguardano anche l’uomo, come quelli anogenitali. Infine, il 33,0% pensa che questo virus colpisca solo le donne e il 26,4% sa che si tratta di un virus responsabile dei condilomi genitali.
Il 70,8% dei giovani di 12-24 anni che hanno sentito parlare di Hpv sa che esiste un vaccino contro il Papillomavirus, in particolare le ragazze (il 79,8% a fronte del 55% dei maschi). Sono i più giovani a esserne più frequentemente a conoscenza (l’84,4% tra i 12-14enni e l’85,1% tra i 15-17enni), probabilmente grazie alle campagne di vaccinazione del Ssn. La maggior parte dei giovani ritiene che la vaccinazione protegga da malattie molto pericolose (72,3%). Il 73% pensa che vaccinare anche i maschi sia una strategia utile per ridurre il rischio di contagio (la pensa così il 75% dei ragazzi e il 70,9% delle ragazze). Solo una piccola quota indica di non fidarsi del vaccino per gli effetti collaterali che può determinare (15,8%), perché credono erroneamente che la protezione duri poco (12,1%), perché non elimina la necessità di fare il pap test (12,1%).

 

Una nuova guida dell’Oms, lanciata in occasione della Giornata mondiale del cancro (celebrata lo scorso 4 febbraio), mira a migliorare le possibilità di sopravvivenza per le persone che vivono con il cancro, assicurando che i servizi sanitari possano concentrarsi sulla diagnosi e il trattamento della malattia.
Secondo l’Oms i tre passi per una diagnosi precoce sono:

  1. Migliorare la consapevolezza pubblica dei diversi sintomi del cancro e incoraggiare le persone a cercare cure quando questi si presentano;
  2. Investire per rafforzare i servizi sanitari e la formazione degli operatori sanitari in modo che possano condurre diagnosi accurate e tempestive;
  3. Assicurarsi che le persone che vivono con il cancro possano accedere a trattamento sicuro ed efficace, tra cui il sollievo dal dolore.

L’Oms inoltre sottolinea come la diagnosi precoce del cancro riduce notevolmente l’impatto finanziario della malattia: non solo il costo del trattamento è minore nelle fasi iniziali di cancro, ma la gente può anche continuare a lavorare e sostenere le loro famiglie se possono accedere in tempo a un trattamento efficace.

La Conferenza Stato-Regioni ha approvato il nuovo Accordo sull’ECM “La formazione continua nel settore salute”, frutto del lavoro portato avanti nell’ultimo anno dalla CNFC (Commissione nazionale per la formazione continua) con il supporto di AGENAS. Linee guida sono state la semplificazione del sistema con meno burocrazia per i professionisti e i provider e un ECM più agile per la scelta dei singoli. In questa prospettiva, il nuovo testo composto di 98 articoli, raccoglie e rende organiche tutte le regole contenute nei precedenti Accordi in materia di formazione continua.
Per i professionisti sanitari, inoltre, il disegno del nuovo Accordo prevede un capovolgimento di prospettiva in attuazione dell’art. 14 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, con il passaggio da una visione fondata esclusivamente sull’“obbligo formativo” verso un sistema che tenga in conto i “diritti” del professionista. L’obiettivo è quello di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e geografico che limitano di fatto l’accesso alla formazione continua”.
Ulteriori novità inserite sono le previsioni in tema di conflitto di interessi - definito come “ogni situazione nella quale un interesse secondario interferisce o potrebbe interferire con l’interesse primario consistente nell’obiettività, imparzialità, indipendenza della formazione professionale del settore della salute” - e le nuove indicazioni legislative in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione.

L’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha pubblicato l’Annual Report sulla sorveglianza della resistenza antimicrobica in Europa. I risultati presentati si basano sui dati, relativi al 2015, delle infezioni segnalate alla rete di sorveglianza Ears-Net (Antimicrobical Resistance Surveillance Network), coordinata sempre dall’ECDC, in trenta Paesi dell’Unione Europea (UE) e dell’Area Economica Europea (EEA), e sui trend del periodo 2012-2015.
Come negli anni precedenti, la situazione europea è caratterizzata per essere ampiamente differenziata a  seconda della specie batterica considerata, del gruppo antimicrobico e dell’area geografica di riferimento. In generale, le percentuali più basse di antimicrobico-resistenza si registrano nei paesi del nord, mentre aumentano in quelli del sud e dell’est Europa. Si tratta di differenze imputabili a una pluralità di fattori, quali diversità nell’uso degli antibiotici, nella prevenzione e nelle strategie di controllo delle infezioni, e nei modelli di assistenza sanitaria.
La situazione descritta dal rapporto è particolarmente preoccupante per quanto riguarda i batteri gram-negativi, per i quali si segnalano percentuali di resistenza elevate e spesso in aumento. Nel corso degli ultimi quattro anni (2012-2015), la resistenza alle cefalosporine di terza generazione da parte di batteri come l’Escherichia coli e la Klebsiella pneumoniae si è diffusa in modo significativo, sia complessivamente a livello di UE/EEA che nei singoli Stati membri.
Come fonte di ulteriore preoccupazione, il rapporto segnala un aumento generalizzato, tra il 2012 e il 2015, della resistenza alle cefalosporine di terza generazione combinata con quella ai fluorochinoloni e aminoglicosidi. Il dato è allarmante perché, restando poche alternative di trattamento per i pazienti affetti da infezioni causate da questi batteri, aumenta il ricorso ai carbapenemi, una classe di antibiotici di ultima linea, con il conseguente rischio di accelerare la comparsa di batteri ad essi resistenti.
Le alternative di trattamento per i pazienti con infezione da batteri resistenti sia ai carbapenemi che ad altri importanti gruppi antimicrobici spesso si limitano pertanto a terapie di combinazione e ad agenti antimicrobici di vecchia generazione e con minore efficacia, come le polimixine.
Per quanto riguarda i batteri gram-positivi, la tendenza che emerge è maggiormente diversificata in tutta Europa. La diffusione dello Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA) nel periodo considerato ha continuato a diminuire, passando dal 18,8% nel 2012 al 16,8% nel 2015, anche se il decremento negli ultimi anni è stato meno pronunciato rispetto al periodo 2009-2012.
Durante il periodo 2012-2015, nel caso dello Streptococcus pneumoniae le percentuali sono rimaste generalmente stabili, con variazioni su scala intra-nazionale, mentre si è assistito a un significativo aumento, generalizzato, della tendenza relativa all’Enterococcus faecium.
Complessivamente, il costante aumento della resistenza antimicrobica emergente dal rapporto desta grande preoccupazione e rappresenta una seria minaccia per la salute pubblica.  La promozione di un uso responsabile e prudente degli antibiotici e le strategie globali per la prevenzione e il controllo delle infezioni continuano dunque ad essere indicati dall’ECDC come interventi imprescindibili per contrastare efficacemente il fenomeno. (Fonte: www.aifa.gov.it)

La Commissione Europea Regionale di verifica dell’eliminazione di morbillo e rosolia (RVC) conclude nella sua relazione annuale, pubblicata ieri, che il 37 dei 53 Stati membri della Regione (70%) hanno interrotto la trasmissione del morbillo endemico a partire dalla fine del 2015, e 35 di loro (66%) hanno anche interrotto la trasmissione di rosolia endemica. Di questi paesi, 27 hanno registrato un’interruzione prolungata per almeno 36 mesi e sono pertanto considerati i paesi che hanno eliminato una o entrambe le malattie. Queste conclusioni indicano che il morbillo è endemico in quattro Paesi in meno e la rosolia è endemica in due paesi in meno rispetto all’anno precedente. Il progresso si riflette anche nel numero inferiore di casi segnalati di morbillo e rosolia attraverso la sorveglianza di routine nella regione nel 2016 rispetto agli anni precedenti.

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